A Rosario

                        Mi raccontavi il mare,
con i suoi cavalloni a infrangere la fede.
Mi raccontavi le aurore sulla sabbia
di Giampileiri marina.
Con le mani intrecciate a Graziella
mi spronavi alla serenità.
Il tuo sorriso mi ha salvato la fede.
Contemplavo i tuoi occhi luminosi
con sguardi biblici.
Il silenzio era la tua parola
e non mi elemosinavi di rimproveri
a vivere di prudenza.
Con te salivo ad Altolia
a meditare l’impossibile,
io fragile a non sperare
sotto i martelli e gli incudini delle cattiverie.
La Parola diveniva certezza,
senza quel tempo sarei morto di fede.
Quei momenti erano ossigeno di vangelo.
Quei momenti a salire il conforto
e a scendere la disperazione.
Le lacrime erano amare persino alle pupille.
Tutto hai sorretto
a sostenere il mio sacerdozio.
Mi parlavi di una donna
vestita tutta di nero,
come quella che a Padova
mi donò una statua della vergine di Fatima.
Io parlavo poco della tua Maria.
Io non credevo che un amico potesse essere Cristo
ad accompagnarmi,
quale discepolo di Emmaus.
Io fuggivo le devozioni
e rincorrevo i diari dei santi.
Le notti, dopo l’agape fraterna
a casa tua, erano oscure,
come quelle di Teresa d’Avila.
Io non sapevo che Lui mi chiamasse all’assurdo
tramite il tuo sorriso
e il tuo silenzio.
Ora che non ci sei,
ne sento la necessità
ma tu di notte non tardi a venire. Dipax
 
 
 

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