L’abate di strada

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“Quanto mi manchi, qui sento soltanto il fiato delle tue preghiere, si accaldava al cellulare l’abate dell’eremo del silenzio.

Poi continuava il dialogo nella navata del convento:“Io vivo la stessa libertà del cuore. Si contrae nella sistole e si espande nella diastole. Sono davvero libero dalle mode che mi circondano (libertà da) e nel contempo vivo per i carismi che Dio mi ha donato (libertà per). Io respiro la libertà dell’universo che si espande a realizzarsi e si contrae a difendersi”. Meditava così l’abate dell’eremo del silenzio ai suoi amati monaci. La preghiera diveniva dialogo e il dialogo s’elevava come incenso al trittico di sant’Antonio abate. Alcuni monaci però sentivano vane le orazioni, mentre il mondo scoppiava di guerre a pezzi.

L’abate consigliò di scendere in strada a educare i ragazzi ai veri valori della pace. I marmocchi preferivano il pallone e al gioco i monaci coniugarono l’educazione. Si arrivò al punto che quei scagnozzi di strada convocarono tanti loro amici da creare delle squadre di calcio all’insegna della pace. Don Giovanni, il monaco che li seguiva, li animava alla conoscenza dei grandi eroi della pace. Conobbero Gandi,

Martin Luther King, don Milani, don Tonino Bello e scrissero di loro intuizione la seguente lettera ai grandi delle armi:

”Carissimi potenti delle armi e non della mente, la stanza dei bottoni è un rischio prima per voi e poi per tutti noi. Non impugneremo mai un’arma e non avrete la nostra obbedienza alla guerra. Noi siamo piccoli e di un paese di montagna, ma siamo certi che, con i ragazzi del mondo che ci ascolteranno, manderemo in fallimento le vostre industrie belliche. I ragazzi della pace”. Dipax

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