Sul Golgota, per vie impervie

Tacere le ingiustizie o rimanere indifferenti equivale a essere complici.

Signore, caricato e appesantito dalla tua croce, ti seguo a distanza. Ti seguo da tanto tempo. Troppo lontana è la mia fede sulla tua croce. Secoli di croci è la tua libertà. Salendo sul calvario i miei piedi calpestano minute bellezze, come i petali di mandarlo, che svolazzano, al vento primaverile, sulle zolle aride che un tempo ho arato per il tuo giardino. Non sono un tipo che perdo il gusto di ciò che cresce anche nell’oscurità del patire. Non calpesto le lacrime di tanti appestati di tormenti.

Sarà l’ultima quaresima del dolore? Quando viene la Pasqua? Chi rotolerà la pietra della mia incredulità? Quella pietra tombale del dubbio? Quale voce sentirò che assomiglierà a quella del giardiniere? Quale Rabunì griderò, per impazzire di gioia?

Elemosino l’amore.

Digiuno morte e peccato.

Prego con il fiato del silenzio, dentro la camera del cuore.

Forse Cristo salirà sul mio Golgota?

Chi salirà sulla mia croce, a schiodarmi dal peccato?

C’è qualche passante, sotto il mio patibolo, che può bagnarmi le mie labbra arse,

come coccio di argilla?

Vi prego, frustate i miei pensieri e non più la mia carne.

Vi prego, laceratemi il cuore

e non più il mio corpo nudo

a carestia di vestiti.

Sto digiunando dalla superbia e dai miei pensieri.

Larva io sono. La mola ha tritato le ultime schegge di ossa.

Pronto io sono a essere bianca farina

per l’Eucaristia della Cena del Signore. Dipax.

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